IL RAVE COME CONTROCULTURA E RIVOLUZIONE SPIRITUALE
[fonte: Simon Reynolds, Generazione Ballo/Sballo, Arcana 1998]
Verso la metà degli anni Novanta i media britannici si erano improvvisamente resi conto del fatto che all’interno della nazione convivevano due distinte società: la tradizionale cultura dell’alcool e dell’intrattenimento (sport & tv) contrapposta a quella più coinvolgente ed esuberante basata sul ballo a oltranza e sull’Ecstasy. (…) Ogni weekend, dovunque, un numero variabile da 500.000 a due milioni giovani sotto i venticinque anni usava sostanze psichedeliche-stimolanti. Questa rete di Love-In, Freak-Out e All-Night Rave, geograficamente sparpagliati ma connessi spiritualmente, costituiva una sorta di Woodstock settimanale (o piuttosto Woodstock e Altamont mescolati insieme, dal momento che il lato oscuro dell’Ecstasy aveva già cominciato a manifestarsi). La questione, allora, è: il rave ha dimostrato di essere una forma di atteggiamento bohémien di massa, o è semplicemente un aggiornamento un po’ futuristico del tradizionale impiego giovanile del tempo libero, che prevede un weekend di sfrenato divertimento come compensazione di una faticosa settimana lavorativa? Quali sono le implicazioni politiche della cultura dell’Ecstasy?
Tra gli effetti sociali dell’Ecstasy, il più ovvio è legato al modo in cui ha totalmente trasformato la gestione del tempo libero dei giovani in Gran Bretagna e in Europa. Dal momento che l’alcool attutisce l’effetto dell’Mdma, all’interno della cultura rave si è rapidamente sviluppato un tabù antialcoolico. Si potrebbe quindi argomentare che in sostanza la diffusione dell’Ecstasy abbia prodotto l’effetto di salvare vite umane, riducendo il numero di risse provocate da abuso di alcool e di incidenti per guida in stato di ubriachezza. Come l’alcool, l’Ecstasy rimuove le inibizioni. Ma, dal momento che diminuisce anche l’aggressività (anche quella sessuale), la diffusione dell’Ecstasy ha sortito l’effetto salutare di trasformare l’atmosfera dei locali notturni: non più “riserve di caccia” per maschi eccitati o zone di battaglia, ma luoghi nei quali le donne possono andare da sole e gli uomini sono troppo impegnati a ballare e a fare amicizia tra di loro per mettersi a litigare. Questi benefici effetti collaterali si estesero anche al di fuori dell’ambiente dei club: in coincidenza con la «conversione» all’Ecstasy e alla musica house dei tifosi di calcio, nel biennio ‘91-’92 gli episodi di teppismo degli ultra di calcio raggiunsero in Gran Bretagna il livello più basso degli ultimi cinque anni.
Generalizzando, L’Ecstasy sembra favorire la tolleranza. Uno degli aspetti più piacevoli della scena rave nel suo periodo di massimo splendore era costituito dal modo in cui quell’atmosfera favoriva la spontanea integrazione di individui di classe, razza e orientamento sessuale diversi. L’Mdma eliminava l’atteggiamento elitario e il settarismo stilistico fino ad allora imperanti nell’ambiente dei club, da cui l’espressione, intraducibile, usata dalla ricercatrice Sheila Henderson, interessata ai fenomeni connessi con la cultura della droga: “luvdup and de-elited”. L’esplosivo impatto del rave sul Regno Unito, se paragonato alla sua più lenta diffusione in America, può essere spiegato col fatto che la Gran Bretagna rimane una delle nazioni del mondo occidentale dalla più rigida stratificazione di classe. Si può supporre che in America ci fosse meno bisogno di quella droga di quanto non ce ne fosse nel Regno Unito. Comunque sia, L’Mdma è un antidoto a una serie di mali tipicamente inglesi: riserbo, inibizione, stitichezza emotiva, classismo.
Comunque, nonostante tutta la retorica della rivoluzione spirituale e della controcultura, il fatto che gli effetti dell’Ecstasy si siano estesi al di fuori della sfera del tempo libero rimane un punto controverso. Fin dall’inizio, i commentatori hanno notato che l’edonismo controllato indotto dall’esperienza con l’Mdma è molto più compatibile con uno stile di vita normale e conformista di quanto accada con altre droghe. Norman Zilberg l’ha definita “la psichedelia yuppie”; altri l’hanno paragonata a una “mini-vacanza”, a un’intensa concentrazione di “tempo di qualità”. Nel suo saggio The Ecstasy of Disappearance, Antonio Melechi fonda la sua teoria di rave come forma di turismo interiore sul fatto che, storicamente, il rave ha avuto origine a Ibiza: una vacanza dalla vita di tutti i giorni e dal proprio io di tutti i giorni. Ai grandi rave da un-colpo-e-via, alcuni ragazzi spendevano — tra bibite, droghe, gadget e viaggio — l’equivalente di quanto gli sarebbe costata una breve vacanza. Ricusando l’idea che si tratti semplicemente di escapismo, di una valvola di sicurezza per scaricare le tensioni causate dallo schema di lavoro capitalista, Melechi sostiene che il rave prende il posto del vecchio modello di attività sottoculturale come resistenza attraverso forme rituali. Mentre le prime sottoculture di stile terroristico come quella mod e quella punk erano esibizioniste, un pugno nell’occhio della società “per bene”, il rave è una forma di sparizione collettiva, un investimento nel piacere che non può semplicemente essere liquidato come mera rinuncia o disimpegno.
La teoria di rave formulata da Melechi — che non è sovversiva ne conformista ma contiene elementi che vanno al di là di entrambe le classificazioni — mi chiama in causa in quanto “credente”. Tuttavia, da un punto di vista più spassionato, il rave da più l’impressione di essere una nuova variazione di un’idea vecchia. In realtà c’è una sorprendente continuità nell’atteggiamento della classe lavoratrice verso il tempo libero, basato sulla corrispondenza lavoro intenso/intenso divertimento; dai weekend di sessanta ore dei mod e dai frenetici seguaci dello stile Northern Soul, ai sogni da febbre del sabato sera della disco e agli All-Dayers e Soul Weekends del jazz-funk. Ogni volta che ascolto l’inno dei mod australiani Friday on my Mind, lanciato dagli Easybeats nel 1967, mi stupisco di come il testo — un’acuta analisi del susseguirsi di duro lavoro, attesa ed esplosiva liberazione che costituisce il tipico ciclo vitale di un giovane “weekender” della classe lavoratrice — risulti ancora attuale. Dopo trent’anni, siamo ancora lontani dal superamento della polarità lavoro/tempo libero tipica della società industriale. Al contrario, tutta quella rabbia e frustrazione viene scaricata andando “fuori di testa” nel weekend (”Tonight, I’il spend my bread/Tonight I’ll lose my head“), con l’aiuto di una o due (o tre), capsule di euforia istantanea.
Dalla retorica Summer of Love dei primi diffusori del verbo acid house nel Regno Unito alla comunità ciberdelica di San Francisco, dal neopaganesimo di Spiral Tribe al trascendentalismo della scena Megatripolis/Goa Trance, il movimento rave ha ospitato anche un’altra “politica dell’Ecstasy”, più vicina all’intento che originariamente stava dietro all’espressione di Timothy Leary. L’Ecstasy è stato adottato in quanto elemento di una versione di rave borghese- bohémien, nella quale il nesso musica-droga-tecnologia si fonde con la spiritualità e con un vago anarchismo hippy-punk, per formare una sedicente controcultura da anni Novanta. Il fatto che la stessa droga si trovi al centro di due differenti “politiche dell’estasi” — lo sballo come valvola di sicurezza contrapposto allo sballo come modo di “chiamarsi fuori” — va messo in relazione con la doppia natura dell’Mdma: una sorta di amfetaminapsichedelica. La componente psichedelica dell’esperienza si presta a una interpretazione utopistica o, quantomeno, a un’implicita critica dello stato delle cose. L’amfetamina, al contrario, non è reputata un prodotto chimico particolarmente atto a innalzare il livello di coscienza. Pur consumando una quantità di pillole pari a quella usata in altri contesti sociali, gli hippy consideravano l’amfetamina una droga per gente “inquadrata”: dopotutto era ancora legale e veniva prescritta in grandi quantità a casalinghe affaticate, uomini d’affari super impegnati, persone in dieta dimagrante e studenti che si preparavano agli esami. Gli effetti dell’amfetamina — potenziamento dell’ego e aumento della produttività — marciavano in senso totalmente contrario al credo psichedelico di abbandono spersonalizzato, indolenza e passività Zen. Così, quando la diffusione della metanfetamina avvelenò l’atmosfera di “pace e amore” di Haigt-Ashbury, quella controcultura rispose con una campagna imperniata sullo slogan “speed kills” (l’amfetamina uccide). L’ostilità del movimento hippy nei confronti dell’amfetamina è una delle ragioni che spinsero i punk ad adottare quel tipo di droga sintetica.
Nel loro classico The Speed Culture: Amphetamine Use and Abuse in America, uscito nel 1975, Lester Grinspoon e Peter Hedblom delineano un odioso raffronto tra marijuana e amfetamina, sostenendo che fumare erba instilla valori contrari alle norme capitalistiche, mentre l’amfetamina amplifica tutte le tendenze competitive, aggressive e solipsistiche indotte dal sistema di vita del mondo occidentale, dominato dall’industria. Terence McKenna, propugnatore di droghe vegetali “donate da Gaia” come i funghi magici, classifica l’amfetamina tra le “droghe della dominazione”, insieme a cocaina e caffeina. L’Mdma, invece, contempla una sorta di effetto, programmato chimicamente, di “meno-è-più”: quello che si presenta inizialmente come un aumento di empatia degenera, come conseguenza di un uso ripetuto, in un effetto quasi esclusivamente determinato dalla componente anfetaminica. Quando il caldo splendore dell’Mdma si attenua a causa del-. l’abuso, i ravers spesso ricorrono alla più economica e più affidabile amfetamina. Entrambe queste sindromi — eccessivo consumo di Ecstasy, uso di amfetamina come sostituto — danno una spiegazione della tendenza delle sottoculture rave a trasformarsi nel giro di un paio d’anni in scene composte prevalentemente da consumatori abituali di amfetamine.
In base a queste considerazioni dovremmo concludere che quando la componente anfetaminica dell’esperienza con l’Mdma prende il sopravvento, la cultura rave perde gran parte del suo carattere “progressivo”. A una estremità dello spettro costituito da una sommaria divisione in classi ci sono le scene composte dagli “adoratori del weekend” appartenenti alla classe lavoratrice, nelle quali l’Mdma viene usato in tandem con l’amfetamina e la cui raison d’ètre sottoculturale è limitata e sostanzialmente conformista: gli stimolanti vengono usati per rifornire di energia e dilazionare la necessità di dormire, per intensificare e amplificare il tempo riservato al divertimento. All’altro estremo della cultura rave, quello più bohémien, l’Mdma è accoppiato con Lsd e altri allucinogeni che innalzano il livello di coscienza, all’interno di un progetto sottoculturale che prevede la pratica di “entrare, sintonizzarsi e sballare”.
Ma il quadro in realtà è più complesso. L’Lsd è largamente usato nelle scene rave caratterizzate da una cospicua presenza di proletari, anche se presumibilmente in forme che hanno poco a che vedere col modello di illuminazione attraverso stati alterati di coscienza proposto da Timothy Leary/Terence McKenna. L’esperienza con gli allucinogeni attira anche per le sue analogie con altre forme di divertimento da teenager, per il modo in cui trasforma il mondo in una specie di cartone animato o videogame. (Da qui le marche di acidi su carta assorbente che riproducono disegni di Super Mario o Power Rangers). Inoltre l’amfetamina, in forti dosi o dopo un uso prolungato, può avere i suoi effetti allucinatori e illusori. L’amfetamina, come l’Mdma, rende le percezioni più vivide; il suo effetto iperacustico può aumentare fino a dare luogo a vere e proprie allucinazioni uditive. Il flusso percettivo può sembrare visionario, ricco di portenti. I consumatori di speed più accaniti spesso provano un senso di chiaroveggenza e gnosi, si sentono in collegamento con sorgenti di poteri occulti, sono convinti di essere gli unici a intercettare piani segreti e cospirazioni.
Eppure, nella cultura rave c’è una tensione tra innalzamento del livello di coscienza e azzeramento della coscienza stessa, tra i “technopagani” per i quali l’Mdma non è altro che un prodotto chimico nella farmacopea di una rivoluzione spirituale e i “weekender” per i quali l’Ecstasy è semplicemente un altro strumento per “obliare” la noia della vita di ogni giorno. Questa divisione basata su distinzioni di classe ha una storia. Ne è una prova lo snobistico sgomento di intellettuali entusiasti degli allucinogeni come R. Gordon Wasson, che nel ‘57 descrisse per la rivista Life le visioni che gli aveva provocato la psilocibina, salvo poi ritrarsi inorridito quando, in cérca di emozioni, passò ai campi di “funghi magici” del Messico o, peggio, al loro equivalente sintetico, l’Lsd. Wasson si rifiutò di usare il termine “psichedelico”, molto diffuso nell’ambito della cultura pop, preferendo il più apertamente trascendentalista “enteogeno” (una sostanza che mette in comunicazione col divino). Siffatti “giochi linguistici” e amenità terminologiche spesso sembrano l’unico mezzo che rimane agli intellettuali per distinguere il loro “giudizioso” uso delle droghe dallo sventato edonismo delle masse.
Gli scritti di Wasson figurano tra le fonti della brillante monografia Anarchy & Ecstasy: Visions of Halcyon Days di John Moore, pubblicato nell’88. Basandosi su frammenti storicamente fondati, Moore effettua una ricostruzione immaginaria di riti pagani preistorici dedicati al culto di Gaia. Egli auspica una riproposizione contemporanea di questi “Misteri Eversivi”, sostenendo che un ritualizzato, mistico incontro col Caos (che lui definisce “smarrimento”) è componente essenziale di qualsiasi politica anarchica realmente vitale. Anarchy & Ecstasy, scritto a metà degli anni Ottanta, si legge come profezia e programma per la cultura rave. Tra i fondamentali elementi preparatori di questi riti misterici troviamo l’accelerazione e la mancanza di sonno, al fine di spezzare le “resistenze interiori” e facilitare la presa di possesso da parte dello “smarrimento sacro”. I riti veri e propri consistono nel cantare tutti insieme, danzare (”abbandono incantato a un ritmo musicale sincopato” che “scioglie le rigidità, siano esse attitudinali, comportamentali o caratteriali”) e somministrare droghe allucinogene in modo che “tutti i sensi e le facoltà siano sensibilizzati fino al febbrile livello che precede il deragliamento in una liberatoria sinestesia integrativa”. I partecipanti ai riti sono condotti in tenebrose, labirintiche caverne, la cui oscurità è illuminata solamente da “mandala e immagini visuali”. Tutto ciò fa pensare ai livelli multipli di numerosi club e ai loro corridoi decorati con immagini psicotrope. Lo stesso discorso vale per i “gerofanti” e per le loro pozioni intossicanti: si può tracciare un parallelo con gli spacciatori che vendono sottobanco “pasticche di Ecstasy e trip”. La descrizione del culmine di quei riti Misterici fornita da Moore somiglia a quella degli effetti dell’Mdma: «L’iniziato diventa androgino, incurante delle artificiali distinzioni di genere… Raggiungendo la totale saturazione, gli individui trascendono le barriere poste dall’ego e la loro dimensione mortale passando per successive ondate di estasi».
È tuttavia piuttosto sorprendente constatare come la religione organizzata si sia accorta del modo in cui la cultura rave fornisce alla “gioventù d’oggi” un’esperienza di comunione e trascendenza collettiva. Così come la Chiesa delle origini aveva incorporato alcuni rituali pagani, sono stati effettuati tentativi di “ringiovanire” la Cristianità annettendo elementi tratti dall’esperienza rave: danze, luci, fervore di massa, comportamento espansivo e commovente. Il più (in)famoso fu quello del Nine O’clock Service a Sheffield, invenzione del “vicario rave” Chris Brain, le cui innovazioni furono accolte con vivo interesse da parte della gerarchia Anglicana finché non si scoprì che il reverendo amava un po’ troppo le sue parrocchiane di sesso femminile. Nonostante questo inconveniente il culto in stile rave si diffuse anche in altre città del Regno Unito, come Gloucester e Bradford (dove nella cattedrale si tenevano funzioni chiamate Eternity). Ci fu anche una quantità di tentativi di ricondurre la gioventù smarrita e confusa all’ovile cristiano mediante serate rave senza-droga-e-senza-alcool: Club X a Bath (organizzato dalla Youth for Christ di Billy Graham) e Bliss (la serata a Bournemouth lanciata da Pioneer Network).
Nessuno di questi club quasi-rave somministrava Ecstasy come santo sacramento. Ma forse avrebbe potuto, dal momento che se c’è una droga che induce a uno stato d’animo vicino all’ideale cristiano — essere colmi di fiducia e benevolenza verso il prossimo — questa è proprio l’Mdma. Mentre un comportamento da rave è un po’ outré per la compassata Chiesa d’Inghilterra, s’intona egregiamente con la tendenza a manifestazioni più estatiche e gestualmente espansive della cristianità. Non a caso Moby, il più visibile e esplicito cristiano del mondo techno, dichiara che «il primo rave ebbe luogo quando l’Arco di Covenant fu trasportato a Gerusalemme e Re David uscì mettendosi a danzare come un pazzo e togliendosi i vestiti». Ma l’esperienza rave ha probabilmente più elementi in comune con il buddismo Zen: lo svuotamento del significato attraverso la ripetizione mantrica; il nirvana come paradosso della pienezza del vuoto. E Is for Ecstasy di Nicholas Saunders cita un monaco Rinzai Zen che approva lo sballo come forma di attiva meditazione e come mezzo per essere “realmente nell’attimo e non nella propria testa”. Più oltre, nel libro di Saunders c’è un estratto di memorie legate a un’esperienza con l’Ecstasy nel quale l’anonimo protagonista descrive la peculiare, insondabile esperienza con l’Mdma: «Non c’è “dentro”». «Ero vuoto. Mi sembrava di essere diventato pura presenza». Al suo massimo livello di intensità, l’insorgere dell’Ecstasy assomiglia all’energia kundalini che lo yoga cerca di risvegliare: “fuoco liquido” che si diffonde nel sistema nervoso e lascia la coscienza “ardente di luce”. (…)
Il concetto di rave corrisponde anche al modello di “macchina dei desideri” proposto da Deleuze e Guattari: una combinazione, decentrata e non gerarchica, di individui e tecnologie, caratterizzata da un flusso-senza-obiettivo e da un’espressione-senza-significato. Il rave funziona come una macchina di intensificazione, che genera una serie di “qui-e-adesso” amplificati — dal punto di vista sonoro, con i loop ripetitivi della musica e da quello visuale con luci, laser e soprattutto con l’effetto stroboscopico (il cui effetto di congelamento del fotogramma crea una sequenza concatenata di quadri viventi). Non si può concepire il rave senza i ravers, analogamente la “macchina dei desideri” dipende dai suoi componenti umani — che Deleuze e Guattari chiamano il “corpo senza organi”. Il corpo-senza-organi, al contrario dell’organismo — che è orientato alla sopravvivenza e alla riproduzione — è composto interamente dalle facoltà inespresse che nel sistema nervoso umano sono in grado di stimolare piacere e sensazioni senza uno scopo preciso: la sterile beatitudine data da sessualità perversa, esperienze di droga, gioco, danza e così via. Nel contesto del rave, la macchina dei desideri e il corpo-senza-organi sono alimentati dalla stessa fonte di energia: l’Mdma.
Il corpo-senza-organi, descritto da Deleuze e Guattari anche come «continua, auto-vibrante regione di intensità il cui sviluppo può prescindere da qualsiasi orientamento verso un punto culminante o un fine esterno» è una sorta di versione aggiornata della nozione freudiana di perversità polimorfa: erotismo diffuso, connesso alla sensualità non genitale e non orgasmatica della fase infantile pre-Edipica. Il corpo-senza-organi echeggia anche alcune mete mistiche: il Masso Non Scolpito dello Zen, il beato flusso iniziale che precede l’idividualità e il genere; il “traslucente”, o “corpo sottile”, angelico e androgino, la cui riattivazione era auspicata dagli gnostici e dagli alchimisti. In Omens of Millennium - libro che tratta dell’odierna ripresa di interesse per gli angeli e per le esperienze pre-agoniche — Harold Bloom afferma: «Drogarsi con l’abbraccio della natura in quelli che consideriamo i nostri istinti più “naturali”, sonnolenza e desiderio sessuale, è allo stesso tempo un destino piacevole e infelice, dal momento che il nostro autentico attributo immortale è androgino e insonne». L’Mdma, droga “innaturale” progettata in laboratorio i cui effetti sono anti-afrodisiaci e insonni, potrebbe rappresentare la scorciatoia sintetica per riscoprire la nostra dimensione angelica. Ricordo, in occasione di un’esperienza con l’Ecstasy, di aver goduto della radicale sensazione di essere senza genere, di un senso di docilità e angelica gentilezza così nuova e squisita che avrei potuto descrivere solo con la goffa espressione “Mi sento veramente effeminato”. Il “mormorio” ormonale subliminale della mascolinità era stato improvvisamente ridotto al silenzio.
Simili sensazioni di indifferenza sessuale hanno molto a che vedere con la rimozione dell’aggressività, specialmente di quella sessuale, operata dall’Mdma. La reputazione di “droga dell’amore” attribuita all’Ecstasy riguarda più gli abbracci affettuosi che la copula, più le effusioni sentimentali che le secrezioni ormonali. È noto l’effetto dell’Ecstasy che rende difficile l’erezione e l’orgasmo virtualmente irraggiungibibile. Le femmine se la cavano meglio, anche se un terapeuta delle sindromi femminili suggerisce che sotto l’effetto dell’Ecstasy “la particolare organizzazione e focalizzazione del corpo e l’energia psichica necessaria per raggiungere l’orgasmo è… molto diffìcile”. Ciononostante, l’MDMA continua ad essere considerato un afrodisiaco - in parte perché acuisce il tatto e in parte perché affetto, intimità e tenerezza fisica, per molti, sono inestricabilmente intrecciati e fusi col desiderio sessuale.
Molti commentatori recenti, ignari degli effetti dell’Ecstasy, si sono affrettati ad attribuire l’atmosfera stranamente casta dei rave a una ritirata post-AIDS da forme di sessualità adulte. Al contrario, una delle caratteristiche più radicalmente innovative e probabilmente sovversive della cultura rave deriva proprio dal fatto che quella è la prima sottocultura giovanile non basata sull’idea del sesso come trasgressione. Rifiutando la logora retorica della liberazione sessuale diffusa negli anni Sessanta e ritraendosi da una cultura sovraccarica di allusioni sessuali, il rave localizza la beatitudine in una sorta di fanciullezza pre-puberale. Ecco spiegati i colori sgargianti e l’abbigliamento “baggy”, gli zainetti e le cartelle, i lecca-lecca, i ciucciotti e gli orsetti di pelouche - persino gli spettacoli di contorno tipo luna-park. E interessante notare come una droga originariamente progettata per togliere l’appetito possa avere questo effetto. L’anoressia è stata a lungo diagnosticata come rifiuto della sessualità matura degli adulti con tutti problemi che comporta. L’Ecstasy non nega il corpo, intensifica viceversa il piacere dell’espressione fisica svuotando completamente il ballo di ogni contenuto sessuale. Per i maschi l’interfaccia droga/musica ha l’effetto di liberare il corpo dalla sua dimensione fallica e aprirlo a gesti dettati dal rapimento, dall’abbandono — “effeminati”. Ma rimuovere l’impulso eterosessuale può significare che la donna non è più indispensabile. Analogamente a quanto accadeva in una delle prime scene influenzate dal consumo di amfetamina, quella dei mod (che curavano particolarmente l’abbigliamento e assumevano pose per impressionare i loro amici, non per “fare conquiste”), c’è un’atmosfera “omosociale” in molte scene rave e da club. Da qui discende anche il carattere autoerotico/autistico del ballo rave. Quelli che si sono convertiti recentemente al rave, spesso usano espressioni tipo “è meglio del sesso”.
I campionamenti presenti in numerosi brani di musica rave — gemiti e sospiri da orgasmo, implorazioni di dive soul — provocano un febbrile stato di innamoramento intransitivo. Le estatiche voci femminili non significano necessariamente donna desiderabile/desiderosa, ma (soprattutto nelle discoteche gay), un rapimento iperorgasmico col quale il maschio si identifica e al quale tende. Gli “you” e gli “it” dei campionamenti vocali non si riferiscono a una persona ma a una sensazione. Con l’Ecstasy, seguire pienamente lo stile di vita da raver significa letteralmente innamorarsi ogni weekend e poi (con l’inevitabile crollo di metà settimana) ritrovarsi col cuore spezzato. Milioni di ragazzi in tutto il mondo fluttuano su questo otto volante emozionale. Sempre guardando avanti, al prossimo appuntamento con l’E, assuefatti all’amore, innamorati di… nulla? Nel suo libro di memorie Nobody Nowhere l’autistica Donna Williams racconta come da bambina si sia ritratta da una realtà dalla quale si sentiva minacciata, rifugiandosi in un suo privato mondo da sogno, fatto di vividi colori e pulsazioni ritmiche; poteva rimanere per ore assorta ad osservare i movimenti nell’aria di granelli di polvere iridescenti che solo lei riusciva a percepire. La cultura rave, con le sue stupefacenti luci psicotrope e le sue pulsazioni ritmiche, si potrebbe definire una forma di autismo collettivo. Il rave è utopia nel senso etimologico originale del termine: un paese delle meraviglie senza luogo e senza tempo.
Quindi forse l’appellativo più calzante per l’Ecstasy è “utopiate”, termine intraducibile usato da R. Blum per definire l’Lsd. L’esperienza con l’Ecstasy può configurarsi come una sorta di “paradiso sulla terra”. Dal momento che non si tratta di un allucinogeno ma di un intensificatore di sensazioni, l’Mdma fa veramente apparire il mondo più reale. La droga dà la sensazione di farti uscire dal tuo “io reale”, di liberarti dalla nevrosi instillata da una società malata. Ma “utopiate” contiene la parola “opiate” (oppiaceo), con riferimento al detto “la religione è l’oppio dei popoli”. L’Ecstasy, in quanto sacramento di una religione laica chiamata “rave”, può assumere il carattere di una forza controrivoluzionaria e, allo stesso tempo, di uno stimolo al cambiamento. È quindi troppo facile cadere nella tentazione di scegliere l’opzione più semplice: limitarsi cioè a ripetere l’esperienza, installandosi permanentemente nel tempio del piacere costituito dalla realtà virtuale del rave.